Da sempre nell’immaginario dell’uomo il cuore ha avuto un’assoluta centralità, un’indiscussa densità simbolica che non è stata assolutamente scalfita dalla scoperta della preminenza fisiologica del cervello (De motu cordis di William Harvey, 1628), quasi non fosse concepibile ridurre ad un semplice muscolo meccanico ciò che aveva costituito, in tutte le culture, l’elemento centrale del corpo umano, la sede fondamentale dell’esistenza. In effetti ancora nel mondo moderno esso ha rappresentato e rappresenta un’ imprescindibile forma di termine metaforico (“il cuore della città”, “il cuore del problema”), ad indicare il fulcro di ogni discorso; per questo potrebbe apparire un azzardo compiere un ciclo di raffigurazioni pittoriche avente quale filo conduttore tale argomento, anche se più sfruttato a livello letterario che figurativo. Il pittore più famoso del secolo scorso ha potuto affermare:”io non cerco, trovo”; il lavoro di Lapo Gargani sembra andare in una direzione diversa, attraverso la consapevolezza che i due verbi, sul piano espressivo, difficilmente si possano scindere e che anzi, come ci ha insegnato Monet, un obiettivo fondamentale dell’arte sia non la variazione degli oggetti che si dipingono, ma la continua metamorfosi interiore di chi si pone a dipingerli. La partenza da un racconto (si può davvero partire da qualcos’altro?), non necessariamente autobiografico, ma reale, costituisce soltanto l’avvio di una ricerca che tende a sviluppare molteplici tecniche espressive, giungendo a materiali di recupero e di scarto, nella consapevolezza che non possa esistere innovazione e trasgressione senza la padronanza dei mezzi espressivi. Le immagini figurative del cuore vengono talvolta volontariamente sfumate, per riuscire a rendere l’affascinante ed inesorabile incostanza di ciò che alberga negli esseri umani, la tenacia nel cercare la sincerità e la facile discesa nel mondo della finzione, il continuo inseguire la felicità e gli inevitabili scacchi durante tale rincorsa; il cuore diviene così la sede di ogni nostra vittoria e sconfitta, disillusione ed illusione, ricordandoci che proprio in quel luogo si cela ciò che è essenziale (così pensava Saint-Exupery), che può sfuggire anche alla retorica del discorso più ispirato, per cui riusciamo a trovare le parole solamente per esprimere ciò che dentro di noi non vive più. Nei dipinti di Lapo il cuore può languire, sanguinare, essere costretto a farsi sempre meno riconoscibile, forse per non essere ferito troppo facilmente; come il sole e la nebbia sulla facciata di una cattedrale gotica, la realtà sembra incaricarsi in modo inesausto di colpirlo, per permettere ancora di farcelo vedere differente; per consentirci di percepirlo nuovamente quale luogo della verità e della memoria, condensato da Proust attraverso l’immagine delle “intermittenze del cuore”, come Lapo nella serie di questi quadri che compongono un ciclo al cui interno tuttavia ogni tela finisce per costituire un unicum, la sola maniera che ogni uomo sembra avere per immaginarsi un destino.  (Leonardo Bucciardini)